San Giuseppe, uomo del silenzio

Nell’udienza generale di ieri, 15 dicembre, il Papà si è soffermato su un aspetto di San Giuseppe davvero interessante, soprattutto per il periodo di preparazione al Natale che stiamo vivendo: il suo silenzio.

Il silenzio di San Giuseppe non è un essere taciturno, riservato. È molto di più. Sant’Agostino scrive: «Nella misura in cui cresce in noi la Parola – il Verbo fatto uomo – diminuiscono le parole». San Giuseppe incarna perfettamente questo pensiero e ci invita, con il suo silenzio, a fare spazio alla Parola fatta carne che viene in mezzo a noi.

Stare in silenzio non è quindi un gesto statico, un subire la vita. Stare in silenzio ci permette di stare in ascolto. L’assenza delle nostre parole, spesso vane e vuote, ci permette di fare spazio all’unica Parola che ci salva.

E allora, cari amici, quale tempo migliore dell’avvento per fare silenzio, per fare spazio a Dio che si fa uomo e viene ad abitare in mezzo a noi? Il Papa ci esorta a coltivare il silenzio nella quotidianità delle nostre giornate: il silenzio ci permetterà di guardarci dentro, che ci piaccia o no, senza paura, perché la profondità del cuore cresce col silenzio.

Auguriamo a noi e voi di poter raggiungere in questo periodo di Avvento proprio la profondità del cuore per poter accogliere e ascoltare Gesù.


L’Umiltà – giorno 8

Nella riflessione di oggi abbiamo scelto di soffermarci su una virtù morale che caratterizzò fortemente Madre Speranza: l’Umiltà.

<<Care figlie, è necessario che teniamo presente che l’umiltà è come il cemento dell’edificio della perfezione. Essa attrae lo sguardo non solo degli uomini che ne rimangono soggiogati, ma di Dio stesso, come avvenne per la SS. Vergine, sulla quale attirò, come conseguenza della compiacenza divina, anche l’acclamazione di tutte le generazioni. Sì, figlie mie, non c’è nulla di più giusto che acclamare l’umiltà, perché è un vero trionfo, il più grande dei trionfi. Essa trionfa infatti sull’orgoglio, che è la passione più radicata nei nostri poveri cuori; trionfa sul mondo che si alimenta del fumo della vanità; trionfa su Lucifero, caduto nell’abisso per un impeto di superbia. L’umiltà ha colpito e bruciato la roccaforte dell’orgoglio e fa sì che l’Ancella dell’Amore Misericordioso sia semplice, obbediente, contenta dell’ultimo posto. 

Per abbattere l’orgoglio e praticare l’umiltà, come hanno fatto e continuano a fare i santi, è necessaria una forza superiore alla natura umana, una forza divina. Dato che esistono soltanto due forze, la natura e Gesù, questa mirabile virtù si può apprendere solo alla scuola di Colui che disse ai suoi discepoli: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”.>>

Chiudiamo questa breve ma significativa riflessione pregando l’ottavo giorno della novena a questo link.

Lo stupore della Fede

Ingresso a Gerusalemme, affresco di Giotto, 1303-1305, Cappella degli Scrovegni, Padova

Cari amici, a conclusione di questa Domenica delle Palme, vogliamo riportare alcuni profondi spunti di riflessione, tratti dalla omelia della messa di oggi del Santo Padre, con la speranza che possano accompagnarvi durante la Settimana Santa che ci accingiamo ad iniziare.

Riflettendo sul Vangelo di oggi, Papa Francesco sottolinea l’importanza dello stupore della fede:

Lo stupore è diverso dall’ammirazione. L’ammirazione può essere mondana, perché ricerca i propri gusti e le proprie attese; lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità. Anche oggi tanti ammirano Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia… e così via. Lo ammirano, ma la loro vita non cambia. Perché ammirare Gesù non basta. Occorre seguirlo sulla sua via, lasciarsi mettere in discussione da Lui: passare dall’ammirazione allo stupore. E che cosa maggiormente stupisce del Signore e della sua Pasqua? Il fatto che Lui giunge alla gloria per la via dell’umiliazione. Egli trionfa accogliendo il dolore e la morte, che noi, succubi dell’ammirazione e del successo, eviteremmo.

E ancora:

Chiediamo la grazia dello stupore. La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore. Come si può testimoniare la gioia di aver incontrato Gesù, se non ci lasciamo stupire ogni giorno dal suo amore sorprendente, che ci perdona e ci fa ricominciare? Se la fede perde lo stupore diventa sorda: non sente più la meraviglia della Grazia, non sente più il gusto del Pane di vita e della Parola, non percepisce più la bellezza dei fratelli e il dono del creato. E non ha un’altra via che rifugiarsi nei legalismi, nei clericalismi e in tutte queste cose che Gesù condanna nel capitolo 23 di Matteo.

In questa Settimana Santa, alziamo lo sguardo alla croce per ricevere la grazia dello stupore. San Francesco d’Assisi, guardando il Crocifisso, si meravigliava che i suoi frati non piangessero. E noi, riusciamo ancora a lasciarci commuovere dall’amore di Dio? Perché non sappiamo più stupirci davanti a Lui? Perché?

Vi lasciamo con questo interrogativo con l’augurio di vivere un cammino profondo verso la Pasqua di Resurrezione.

(Potete trovare l’intera omelia qui)

CENERE IN TESTA E ACQUA SUI PIEDI

Oggi inizia il tempo di quaresima: 40 giorni in preparazione alla Pasqua. Condividiamo con voi un’omelia di Don Tonino Bello. Augurandovi un buon cammino di quaresima!

Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi.
Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.
Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole. Non c’è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.
È difficile, per esempio, sottrarsi all’urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”. Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d’ulivo benedetti nell’ultima domenica delle palme. Se no, le allusioni all’impegno per la pace, all’accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione. Quello “shampoo alla cenere”, comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.
Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l’abbiamo “udita con gli occhi”, pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.
Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.
Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell’attesa di Cristo? “Una tantum” per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane? Potenza evocatrice dei segni!
Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.
La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare… sui piedi degli altri.
Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.
Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.
Un grande augurio.

La Parola del giorno – 14.11.2020

La liturgia di oggi ci offre importanti spunti di riflessione e noi vogliamo condividerli con voi

Noi perciò dobbiamo accogliere tali persone per diventare collaboratori della verità.” (3Gv 5-8)

e ancora:

E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,1-8)

In un periodo come questo, in cui la pandemia sta mettendo a dura prova l’intera umanità, non possiamo non cogliere in questa Parola l’esortazione ad unirci ancora di più nella preghiera e diventare così collaboratori della Verità. E il Signore non tarderà!